Il Napoli batte la Juve e accede agli ottavi
2 tempo supplementare 119 minuto, Napoli e Juve sono sul 2-2. Ma una zampata di Del Piero porta in vantaggio la Juventus. Sembrava davvero finita ... Ma non passano 2 minuti che Paolino Cannavaro con una rovesciata pareggia il conto. Si va ai rigori : Trotta segna, Buffon va dal dischetto e sbaglia, poi Bucchi , Guzman, Domizzi e Birindelli vanno in gol. Il Napoli è in vantaggio per 6-5. Ma Dalla Bona sbaglia, ma subito dopo sbaglia anche Marchionni. E' l'ultimo dei 5 rigori, dal dischetto Cannavaro, ma sbaglia, Del Piero implacabile segna. Si va ad oltranza : segnano Montervino e Chiellini. Dal dischetto Amodio segna, ma Balzaretti sbaglia. Il Napoli passa il turno.
Ma come si è arrivati a questo risultato? Reja ha puntato sulla sua formazione tipo, con De Zerbi alle spalle di Bucchi e Calaiò. Deschamps, invece, ha dovuto rinunciare a Legrottaglie e Trezeguet infortunati. Nel primo tempo il Napoli ha cercato spesso la via del gol. Calaiò, al 5° minuto, si è fatto fermare da Kovac al momento del tiro. Al 12° ci ha provato Bogliacino: tiro di poco a lato. Dopo 4 minuti Calaiò, solo davanti al portiere, non è riuscito a battere a rete. Al 19° tiro di Bojinov, deviato in angolo. Sul capovolgimento di fronte, assist di Grava per Bucchi, che ha appoggiato di testa a Buffon. La prima ammonizione del match è arrivata al 25°: cartellino giallo per Grava, dopo un fallo su Nedved. Grava, diffidato, sarà squalificato. Al 26° Juventus in vantaggio: cross di Balzaretti e gol di testa di Chiellini. Dopo 10 minuti Calaiò è caduto in area e Trefoloni ha fatto cenno di proseguire. Al 38° è arrivato il pareggio del Napoli: assist di De Zerbi per Bucchi, che con un tiro a seguire di destro ha battuto Buffon. Nel secondo tempo, dopo due minuti, iniziativa della Juventus: tiro di Bojinov potente ma centrale. Al 3° punizione di De Zerbi e colpo di testa di Domizzi, con Birindelli che ha anticipato Buffon rischiando l'autorete. Al 6° tiro svirgolato di De Zerbi ampiamente fuori. Il Napoli si è portato sul 2-1 all'8° minuto: sull'errore della difesa juventina ne ha approfittato Bucchi che ha servito Calaiò, bravo a superare di sinistro Buffon in uscita. Al 20° gara sospesa per due minuti per lancio di oggetti in campo. Al 27° super parata di Iezzo su tiro ravvicinato di Guzman. Tiro di Nedved al 29° di poco fuori. Al 33° Del Piero, con un tiro a giro di destro, ha pareggiato i conti: il pallone è carambolato sul palo prima di entrare in rete. Al 38° Montervino ha rubato palla in area ed ha servito Pià, che ha tirato fuori da ottima posizione. Al 40° mischia in area con il pallone che è terminato nelle mani di Buffon. Al 45° staffilata di Dalla Bona, deviata in angolo da Buffon. Non sono bastati i 90 minuti di gioco per designare un vincitore: il match è proseguito nei tempi supplementari. Nel primo tempo supplementare, al 2°, spunto di Pià non finalizzato da Bucchi. Al 3° tiro fiacco di Marchionni. Dopo un minuto ancora Marchionni di testa: nessun problema per Iezzo. Prima Balzaretti e poi Zanetti hanno tentato il tiro all'8° senza fortuna. Nel secondo tempo supplementare, al 1° minuto è stato espulso Camoranesi per un brutto colpo su Montervino. Al 9° anche il Napoli in 10 uomini: espulso Grava per doppia ammonizione. Al 14° Juve in vantaggio con Del Piero. Dopo due minuti pareggio del Napoli con una rovesciata di Paolo Cannavaro.
Ai rigori: Trotta gol, Buffon sbagliato, Bucchi gol, Guzman gol, Domizzi gol, Birindelli gol, Dalla Bona sbagliato, Marchionni sbagliato, Cannavaro sbagliato, Del Piero gol, Montervino gol, Chiellini gol, Amodio gol, Balzaretti sbagliato.
Gli azzurri dovranno vedersela agli ottavi il 29 novembre e il 5 dicembre contro il Parma.
Tanti auguri Napoli
Il Napoli oggi compie 80 anni. Ricordiamo brevemente le pagine più importanti della sua storia da Vojak e Sallustro a Diego fino ad arrivare a Calaiò.
I primi anni: Ascarelli, Vojak e Sallustro
Prima del 1926 le imprese più importanti del calcio campano erano legate al Savoia di Torre Annunziata che aveva addirittura sfiorato il titolo nazionale fermandosi solo nella finale disputata contro il Genoa.
Giorgio Ascarelli, giovane industriale napoletano e presidente dell'Internaples, si era reso conto che ormai il football stava diventando un fenomeno che avrebbe appassionato le folle come null'altro fino ad allora ed il 1° agosto del 1926 fondò la nuova squadra di Napoli cui il nome di Associazione Calcio Napoli.
I progetti furono subito ambiziosi, si partì da mister Garbutt, classico allenatore inglese che aveva vinto due scudetti con il Genoa nel 1924 e nel 1925 e - soprattutto da Attila Sallustro "il Veltro". Sallustro proveniva da un'agiata famiglia e suo padre - quando seppe che avrebbe giocato a calcio in Italia - gli impose l'obbligo di non guadagnare nulla dall'attività sportiva.
Sallustro mantenne la promessa fin che fu possibile; il Napoli lo gratificò regalandogli una lussuosa vettura, cosa che all'epoca destò un enorme scalpore.
Fu edificato - finalmente - uno stadio vero il "Vesuvio" in grado di accogliere le migliaia di sostenitori della squadra che intanto decisero - viste le modeste prestazioni dei ragazzi in maglia azzurra - di togliere dallo stemma della società l'originario cavallo rampante sostituendolo con un modesto somaro. Da allora "'o ciucciariello" divenne per Napoli e per il mondo del calcio l'emblema della squadra partenopea.
Ascarelli morì in giovane età senza poter raggiungere i traguardi ambiziosi che si era prefissato, lo stadio gli fu intitolato a furore di popolo ma le leggi razziali gli tolsero anche quella "soddisfazione postuma". l'Italia entrava nel baratro della guerra e ben pochi avevano ancora voglia di pensare al pallone in una città squarciata dai bombardamenti che non risparmiarono neanche lo stadio sotto le cui macerie rimase anche la storia avventurosa di quei primi anni di grande calcio a Napoli.
Tornando alle cose prettamente sportive è da ricordare che l'esordio del Napoli nel Campionato italiano fu quanto meno disastroso: un solo punto in tutta la stagione, ma Ascarelli riuscì a convincere i dirigenti nazionali a non rinunciare al patrimonio che il Napoli e Napoli rappresentavano per il calcio italiano.
Nel campionato 1928-29 Sallustro segnò 22 reti portando il Napoli al nono posto della classifica.
Alla vigilia del primo campionato di serie A a girone unico il Napoli si rinforzò ingaggiando Vojak e il già citato "mister" William Garbutt chiudendo il torneo al quinto posto.
Nel campionato 1932-33 Sallustro segnò 19 reti e Vojak 22; Il Napoli arrivò terzo a pari merito col Bologna e nel campionato succesivo fu ancora terzo qualificandosi per la Mitropa Cup, la massima competizione europea di quei tempi. Al primo turno il Napoli incontrò l'Admira Wien: A Vienna finì 0-0 a Napoli 2-2. Alla "bella" vinsero gli austriaci per cinque a zero.
Nel 1935 la società fu rilevata da Achille Lauro che svendette subito tutti i giocatori più importanti. Sallustro da centravanti diventò ala segnando sempre meno reti. Al termine del campionto 1936-37 il Napoli cedette Sallustro alla Salernitana.
Senza più campioni il Napoli retrocesse in Serie B al termine del campionato 1941-42.
Gli anni 50: Jeppson e Vinicio
Nel 1946 con la fine della guerra riprende il campionato: il Napoli torna in Serie A ma al termine del campionato 1947-48 retrocede ancora.
Ci vorranno due anni per risalire la china.
Lauro in vista della stagione 1952-53 acquista dall'Atalanta il centroavanti svedese Hasse Jeppson.
Jeppson si era messo in mostra ai mondiali del 1950 svolti in Brasile, pareva dovesse finire all'Inter, ma per l'allora stratosferica di centocinque milioni di lire fu ingaggiato dal Napoli col quale disputò cinque campionati; I tifosi coniarono per lui il soprannome (scontato) di "'o Banco 'e Napule".
Nel 1955 arrivò Luis Vinicio ('o Lione) che affiancando Jeppson in attacco diede vita alla coppia "H-V". Purtroppo questo eccelso binomio non diede al Napoli i frutti sperati, anche perché poche furono le occasioni nelle quali i due campioni vennero schierati insieme in formazione.
Tra le poche "imprese" del Napoli di quegli anni ci sono le due vittorie contro la Juventus nella stagione 1957-58: all' andata a Torino finì 3-1 per il Napoli grazie alle parate fenomenali di Bugatti. Charles dopo la partita disse se non fosse stato per Bugatti avremmo vinto 7-3. Al ritorno, comunque, il Napoli vinse 4-3.
Un altro indimenticabile campione di quei tempi fu il "petisso" Pesaola che anche come allenatore ha lasciato una traccia indelebile nella storia della società.
Nel 1960 quando Vinicio sembrava a fine carriera ed ormai in decadenza, il Napoli cedette il brasiliano al Bologna; a smentire quella "decadenza" ci pensò Vinicio stesso vincendo la classifica dei marcatori del 1965-1966 con il Vicenza.
Nella stagione 1960-61 dopo un buon avvio - (8 punti in 5 partite) - il Napoli crolla e retrocede nuovamente in serie B.
1962: La prima Coppa Italia
Per ritornare in A, Lauro pretese di costruire una formazione in grado di competere con le migliori: "un grande Napoli per una grande Napoli" fu il suo slogan, ma il campo gli diede torto; la squadra non sembrava essere in grado di raggiungere la meta della promozione fino a quando fu chiamato ad allenarla Bruno Pesaola il "petisso" che da "Mister" rimase famoso anche per il suo immancabile cappotto di cammello e per l'inimitabile sagacia tattica. Con lui in panchina il Napoli risalì la china fino a raggiungere la promozione.
La stagione si chiuse trionfalmente con la conquista della Coppa Italia ottenuta battendo in finale la S.P.A.L. di Ferrara. Il Napoli passò subito in vantaggio con Corelli al 12°; la Spal pareggiò al 15° con Micheli ma Ronzon al 79° portò definitivamente in vantaggio gli azzurri regalandogli così il loro primo trofeo. Il Napoli resta l'unica squadra nella storia del calcio italiano ad aver vinto la Coppa Italia militando in serie B.
Gli anni 60: Sivori, Altafini e Juliano
Nel 1962-63 il Napoli riesce a raggiungere i quarti di Coppa delle Coppe dove viene eliminato alla "bella" dall' OFK Belgrado per 3-1. In campionato la squadra retrocede ancora, Dovrà attendere due anni per tornare in Serie A al termine del campionato 1964-65.
Per lo spregiudicato armatore Achille Lauro il Napoli era un fiore all'occhiello da mostrare con orgoglio, specie in periodo elettorale, e per costruire una buona squadra in vista del campionato di A 1965-66 prelevò Omar Sivori della Juventus e Josè Altafini dal Milan; insieme a loro cominciò a distinguersi il giovanissimo centrocampista Antonio Juliano, che per i successivi 18 anni sarà l'indiscussa bandiera del Napoli.
I risultati sono lusinghieri: nel 1965-66 è terzo, vincendo la Coppa delle Alpi, nel 1966-67 quarto e nel 1967-68 secondo ma, nonostante l'impegno di quei campioni e dei tanti ottimi giocatori che furono in squadra con loro, il titolo di Campioni d'Italia restò un sogno nel cassetto.
Altri giocatori da ricordare di quel periodo furono Angelo Benedicto Sormani, Faustino Jarbas Canè, Kurt Hamrin, e Dino Zoff, subito soprannominato l'angelo azzurro.
Gli anni 70: Ferlaino, Vinicio e Savoldi
Gli anni della Presidenza di Lauro regalarono ai tifosi più illusioni e delusioni che risultati degni di nota.
Nel 1969 con grande abilità e poca spesa Corrado Ferlaino assunse la presidenza di una società sull'orlo del dissesto finanziario. Nei suoi primi anni di dirigenza, pur dimostrando carattere e testardaggine fuori dal comune, Ferlaino non poté garantire al Napoli la possibilità di lottare per grandi traguardi badando in fase di calciomercato più alla cessione di pezzi pregiati che all'acquisto di giocatori di prima scelta, emblematico il caso di Claudio Sala ceduto senza aver potuto dimostrare il proprio valore. Il pubblico però ripagava la società garantendole incassi impensabili anche per le squadre più titolate e questo fattore fu determinante per invertire la rotta.
Quando sulla panchina del Napoli arrivò Luis Vinicio, la società cominciò ad investire acquistando giocatori di buon livello e valorizzando giovani talenti (Bruscolotti, Vavassori, La Palma, Salvatore Esposito ed altri) e i risultati non si fecero attendere, nel 1975 il Napoli arrivò al secondo posto dietro la Juventus per soli due punti, perdendo la sfida decisiva di Torino grazie ad un gol in zona Cesarini dell'ex Altafini, da allora soprannominato "Core 'ngrato"
Il colpo di mercato che ingigantì le speranze di gloria dei tifosi azzurri arrivò nell'estate del 1975 quando per l'allora stratosferica somma di due miliardi di lire fu ingaggiato dal Bologna il centravanti Beppe Savoldi detto "BeppeGoal".
La squadra, reduce dall'amaro secondo posto, non fece meglio nelle stagioni successive, ma nel 1976 conquistò la seconda Coppa Italia battendo in finale per 4 a 0 l'Hellas Verona nella finale dell'Olimpico, poi battendo il Southampton il Napoli si aggiudicò anche la Coppa di Lega Italo-inglese.
Nella stagione successiva l'obiettivo del raggiungimento della finale di Coppa delle Coppe (allenatore Pesaola) fallì dopo un'immeritata sconfitta in semifinale contro l'Anderlecht in una gara pilotata letteralmente a senso unico dall'arbitro Matthewson.
Gli anni settanta si chiusero senza altri sussulti né grandi soddisfazioni. La parola "Scudetto" continuava ad essere solo una chimera per i sostenitori azzurri ma il decennio successivo li avrebbe appagati con trionfi ancor oggi irripetibili.
I primi anni 80: Krol, Bertoni e Diego
All'inizio degli anni ottanta, con la riapertura delle frontiere ai giocatori stranieri, giunsero in Italia fior di campioni (ed anche qualche "bidone").
Il Napoli, tradizionalmente, aveva avuto nelle sue file ottimi giocatori non italiani (Sallustro, Vojak, Sivori, Jeppson, Hamrin, Cané, Clerici); per mantenere viva la tradizione fu ingaggiato dal Vancouver Ruud Krol.
Già campione d'Europa con l'Ajax e pilastro difensivo della grande Olanda dei primi anni settanta, Krol era un libero sopraffino capace di aprire il gioco con lanci lunghissimi e di estrema precisione.
L'entusiasmo attorno alla squadra portò nuovamente i tifosi a sognare la "grande impresa" ma a parte un terzo posto nella stagione 1980-81 (allenatore Rino Marchesi) e un quarto posto nella stagione 1981-82 lo Scudetto restò lontano da Napoli nonostante Krol e altri stranieri di valore quali Ramon Diaz, José Dirceu e Daniel Bertoni.
I due campionati successivi furono coronati da "batoste" e delusioni e la serie B fu evitata in modo quasi rocambolesco. Ma il 27 maggio del 1984 la prima pagina della Gazzetta dello Sport mandò in visibilio i supporters azzurri: "Maradona, sì al Napoli". Quel titolo accese le fantasie di una intera città. Fantasie che presto si trasformarono in stupenda realtà.
L'epoca di Maradona
Maradona con la maglia del NapoliOltre un mese di febbrili trattative che tennero col fiato sospeso un'intera città, poi la favola si trasformò in realtà: Diego Armando Maradona era ufficialmente del Napoli ed il 5 luglio del 1984 si presentò allo stadio Stadio "San Paolo" gremito di gente di ogni categoria sociale unita da un solo sogno e da un solo nome da urlare a squarciagola: DIEGO. A nessuno importava della valanga di polemiche suscitata dalla cifra enorme per l'epoca che fu sborsata dal Napoli per avere in squadra il campione argentino (circa tredici miliardi di lire), la riscossa tanto sognata aveva finalmente un idolo-condottiero che forse mai Napoli aveva avuto.
Nella prima stagione, però i sogni andarono in gran parte delusi, mal supportato da una squadra di mediocre valore Maradona dimostrò quasi esclusivamente le proprie doti di funambolo ma il suo contributo non poté essere utile per raggiungere grandi traguardi ed infatti il Napoli disputò un girone di andata mediocre e solo nel finale riuscì a raggiungere una tranquilla posizione di centro classifica.
Era chiaro che da solo Diego non avrebbe portato il Napoli a grandi risultati e la società dovette subito correre ai ripari, arrivarono in azzurro giocatori del calibro di Bruno Giordano, Salvatore Bagni e poi Antonio Careca, Andrea Carnevale, Ricardo Alemao ed altri giocatori che in pochi anni diedero ai sostenitori azzurri soddisfazioni enormi:
Il primo scudetto arrivò nel 1987 con Diego condottiero assoluto del Napoli come già lo era stato per l'Argentina nei Campionati Mondiali dell'anno precedente, accompagnato dalla terza Coppa Italia conquistata vincendo tutte le gare, comprese le due finali (3-0 a Napoli e 1-0 a Bergamo) contro l'Atalanta.
La rosa Campione d'Italia comprendeva: Garella, Bruscolotti, Ferrara, Bagni, Ferrario, Renica, Carnevale I, De Napoli, Giordano, Maradona, Romano F., Volpecina, Caffarelli, Sola, Muro, Marino, Bigliardi, Di Fusco; Allenatore: Ottavio Bianchi.
L'anno successivo 1987-88 il Napoli domina il campionato fino alla 20^ giornata, con 5 punti di vantaggio sulla seconda, ma improvvisamente - a dispetto di ogni più scontato pronostico - gli azzurri crollarono facendosi superare dal Milan allenato da Sacchi.
Si sospettò subito di infiltrazioni criminali e di scommesse clandestine, quattro titolari vennero "epurati" ma per i tifosi quel campionato resta ancor oggi come una ferita aperta.
Nel (1989) giunse la prima vera affermazione in campo europeo con la conquista della Coppa Uefa raggiunta eliminando tra le altre, Juventus e Bayern Monaco per poi chiudere con la trionfale doppia finale contro lo Stoccarda (2-1 e 3-3)
La formazione Campione comprendeva: Giuliani, Ferrara, Francini, Corradini, Alemão, Renica, Fusi, De Napoli, Careca, Maradona, Carnevale I; Allenatore: Ottavio Bianchi
Dopo il secondo posto alle spalle dell'Inter dei record allenata da Trapattoni, nel campionato (1988/89), giunse il secondo titolo di Campione d'Italia nella stagione (1989/90) seguito dalla Supercoppa Italiana (1990) ottenuta battendo la Juventus allenata da Maifredi per 5-1 (con le doppiette di Careca e Silenzi).
Si chiude così il primo importante ciclo del Napoli in coincidenza con il declino di Maradona a seguito delle vicende personali che lo costrinsero a lasciare Napoli e l'Italia purtroppo in modo tristemente amaro.
La crisi
Dal 1991, dopo che Maradona lasciò Napoli la squadra si avviò verso un inesorabile declino. Inizialmente il Napoli, anche grazie all'apporto di giocatori del calibro di Gianfranco Zola, Ciro Ferrara e Fabio Cannavaro, ottenne dei discreti risultati come il 4° posto nella stagione 1991-92, il sesto posto nella stagione 1993-94 e il settimo posto nella stagione 1994-95. Poi a partire dal 1995 con la cessione delle sue stelle (Ferrara andò alla Juventus e Cannavaro al Parma) iniziò il declino.
Nella stagione 1996-97 la formazione azzurra allenata da Gigi Simoni è la vera rivelazione del campionato concludendo il girone d'andata al secondo posto dietro la Juventus poi, nel girone di ritorno, crolla e per poco non retrocede.
Nella stessa stagione arriva alla finale di Coppa Italia che perde contro il Vicenza (1-0 al San Paolo, 0-3 a Vicenza dopo i supplementari). L'anno successivo è disastroso: gli azzurri terminano ultimi in campionato (con solo 14 punti) e retrocedono in serie B, nonostante un'intelaiatura costruita per puntare alla qualificazione alla Coppa Uefa.
Il primo anno in cadetteria è mediocre, la squadra allenata da Renzo Ulivieri, e composta da fuoriclasse ma al viale del tramonto come Igor Shalimov, fallisce il ritorno in A, che avverrà solo l'anno dopo grazie all'allenatore Novellino e agli oltre 20 gol di Stefan Schwoch. Nonostante i meriti e l'affetto dei tifosi però, proprio i due protagonisti del ritorno in A, non ottengono la riconferma e nel successivo campionato il Napoli subisce un'altra retrocessione, nonostante l'arrivo del brasiliano Edmundo, e la presenza in squadra di giovani promettenti come Matuzalem, Amauri, Quiroga e Jankulovski. Nel campionato successivo di serie B il Napoli sfiora la promozione arrivando quinto.
Nella stagione 2002-03 la squadra viene affidata all'allenatore Franco Colomba ma, senza un organico competitivo, anche a causa delle cessioni estive di giocatori importanti come Jankulovski la squadra si ritrova al penultimo posto ed all'esonerato Colomba subentra "Il Professore" Franco Scoglio. Anche grazie a sei nuovi innesti la squadra - agli inizi di febbraio - risale al quintultimo posto ma poi va di nuovo in crisi e Scoglio viene esonerato. In panchina torna Colomba e il Napoli si salverà solo all'ultima giornata di campionato.
Nella stagione 2003-04 la squadra sembra sulla carta in grado di vincere il campionato ma sul campo delude ottenendo un mediocre sedicesimo posto.
Il fallimento e la serie C
Alla crisi di risultati si è aggiunta una crisi finanziaria che ha portato la SSC Napoli al fallimento ed alla perdita del titolo sportivo sostituito dalla "Napoli Soccer", fondata dall'imprenditore Aurelio De Laurentiis. A seguito di tali eventi il Napoli è stato retrocesso d'ufficio in Serie C1.
Nella stagione 2004-05 il Napoli - costretto anche ad una campagna acquisti effettuata in tempi ristretti - termina il girone di andata a due punti dalla zona play-off. Con gli acquisti di calciatori di buon livello come Calaiò, Fontana, Pià e Capparella e con l'esonero del tecnico Ventura (cui subentra Reja), il Napoli arriva terzo alla fine del campionato, ma perde la finale play-off contro l'Avellino, pareggiando 0-0 in casa e perdendo 2-1 ad Avellino.
Il ritorno in B
Nella stagione 2005/06, il Napoli, grazie anche agli acquisti di Iezzo, Maldonado e Bogliacino, ha un ottimo avvio sia in campionato che in Coppa Italia, competizione nella quale viene eliminato solo agli ottavi di finale dalla Roma (prima aveva battuto Pescara, Reggina e Piacenza). Il Napoli riconquista un posto nella serie cadetta con tre giornate d'anticipo sulla fine della stagione regolare con Emanuele Calaiò che si mette in evidenza segnando diciotto reti proponendosi come punta di diamante anche per il futuro del sodalizio partenopeo.
Il presidente Aurelio De Laurentiis per celebrare sia la promozione che l'ottantesimo anniversario della fondazione del Calcio Napoli, ha riacquistato il vecchio titolo sportivo: Società Sportiva Calcio Napoli ed annuncia altre iniziative atte a riproporre Napoli come palcoscenico per grandi avvenimenti calcistici.
L'ultimo atto della stagione è stata la finale di Supercoppa di Serie C1 giocata contro lo Spezia, vincente del Girone A: nella doppia finale ha prevalso la squadra ligure grazie al pareggio esterno per uno a uno e a quello interno per zero a zero.
Dal 23 maggio 2006 la società è tornata alla denominazione Società Sportiva Calcio Napoli, nome che era stato abbandonato a causa del fallimento.
Il buio dell'informazione sul Referendum
“Approvate il testo della legge costituzionale concernente Modifiche alla parte II della Costituzione approvato dal Parlamento e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.269 del 18 novembre 2005?”
Solo il 53% degli italiani (fonte IPR Marketing) è a conoscenza del referendum confermativo della riforma costituzionale che si terrà il 25 e 26 giugno.
Ma di questo 53% solo l'8% lo conosce nei dettagli. Cioè su 100 italiani solo 4 sanno per cosa si andrà a votare.
Sui giornali le notizie sul referendum e gli interventi dei politici sono solo nella pagine interne.
I politici al potere evitano di parlarne.
Su questo sito è possibile trovare la Costituzione come sarà se vincerà il SI.
http://www.pierlucapierro.it/ReferendumCostituzione/Costituzione.htm
Il buio dell'informazione sul Referendum
“Approvate il testo della legge costituzionale concernente Modifiche alla parte II della Costituzione approvato dal Parlamento e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.269 del 18 novembre 2005?”
Solo il 53% degli italiani (fonte IPR Marketing) è a conoscenza del referendum confermativo della riforma costituzionale che si terrà il 25 e 26 giugno.
Ma di questo 53% solo l'8% lo conosce nei dettagli. Cioè su 100 italiani solo 4 sanno per cosa si andrà a votare.
Sui giornali le notizie sul referendum e gli interventi dei politici sono solo nella pagine interne.
I politici al potere evitano di parlarne.
Su questo sito è possibile trovare la Costituzione come sarà se vincerà il SI.
http://www.pierlucapierro.it/ReferendumCostituzione/Costituzione.htm
Il Ciuccio è tornato quello di una volta
Finalmente il Napoli riassume la sua vecchia, storica e gloriosa, denominazione abbandonando la breve parentesi della Napoli Soccer. Oggi infatti il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, ha firmato l'atto deliberativo in assemblea per il ritorno alla denominazione Società Sportiva Calcio Napoli spa.
9 maggio 1978
Ore 10 del mattino in una casa di Roma:
A (brigatista): Lei è il professore Franco Tritto?
B:Sì, ma io vorrei sapere con chi parlo....
A:Brigate Rosse..
B: Eh..
A:Va bene, ha capito?..
B:Sì
A:ecco non posso stare molto al telefono.... quindi, dovrebbe dire questa cosa alla famiglia...parlare personalmente... anche se ha il telefono sotto controllo, non fa niente...parlare personalmente e dire questo: adempiamo alle ultime volontà del presidente, comunicando alla famiglia dove potrà trovare il corpo dell'on. Aldo Moro
B:Che cosa dovrei fare?
A: Mi sente?
B: No, se può ripetere, per favore...
A: No, non posso ripetere, guardi... allora, lei deve comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell'onorevole Aldo Moro in via Caetani...
B: via...
A: via Caetani, è la seconda traversa a destra di via delle Botteghe Oscure.... Va bene?
B:Sì...
A: Lì c'è una Renault 4 rossa. I primi numeri di targa sono N5...
B: Devo telefonare io?...
A: No dovrebbe andare personalmente...
B: Non posso.. (piange)
A: Non può?... dovrebbe per forza..
B: Per cortesia, no (piange)
A: Mi dispiace, cioè se lei telefona non...non verrebbe meno all'adempimento delle richieste che ci aveva fatto espressamente il presidente
B: Parli con mio padre... la prego
ore 10 del 9 maggio, Roma: il presidente Moro nella prigione del popolo di via Montalcini viene sbarbato, vestito. Gli dicono che stà per essere liberato. Lo portano giù nel garage. Lo fanno accomodare nel bagagliaio. Moretti lo copre, poi punta la mitraglietta Skorpion e spara. Da distanza ravvicinata. Il mitra si inceppa, e lui usa la pistola. Il corpo esanime giace nella Renault 4 rossa. Il dramma si è compiuto.
La Renault 4 viene portata a via Caetani. Il prof. Franco Tritto, amico della famiglia Moro riceve la telefonata e guida la polizia a via Caetani.
L'immagine di Moro riverso nel bagagliaio fa il giro del mondo.
Ma quella tragica giornata non era cominciata con la morte di Moro
Ore 1,40 del 9, Cinisi , Palermo.Il macchinista del treno Trapani-Palermo, Gaetano Sdegno, transitando nel territorio di Cinisi, avverte uno scossone e, sceso dalla locomotiva, trova i binari squarciati da un'esplosione. Attorno al piccolo cratere, sparsi nel raggio di 300 metri, resti umani. Sono i resti di Peppino Impastato, un ragazzo di 30 anni. Peppino non muore sotto il treno ma devastato dall'esplosione del tritolo. Peppino è stato legato ai binari ed è stata fatta esplodere una forte carica che l'ha devastato. Ma chi è questo ragazzo? Peppino nasce a Cinisi il 5 gennaio 1948 da Felicia Bartolotta e Luigi Impastato. La famiglia Impastato è bene inserita negli ambienti mafiosi locali: una sorella di Luigi ha sposato il capomafia Cesare Manzella, considerato uno dei boss che individuarono nei traffici di droga il nuovo terreno di accumulazione di denaro. Ma ben presto Peppino si allontana dalla famiglia e comincia una militanza politica e antimafiosa.Nel 1975 organizza il Circolo "Musica e Cultura", un'associazione che promuove attività culturali e musicali e che diventa il principale punto di riferimento por i giovani di Cinisi. Ne 1977 partecipa alla realizzazione di Radio Aut, un'emittente autofinanziata che indirizza i suoi sforzi e la sua scelta nel campo della controinformazione e soprattutto in quello della satira nei confronti della mafia e degli esponenti della politica locale. Nel 1978 partecipa con una lista che ha il simbolo di Democrazia Proletaria, alle elezioni comunali a Cinisi. Il 9 maggio viene ucciso prima che si svolgano le elezioni. Peppino sarà eletto consigliere.
"Fiore di campo nasce dal grembo della terra nera, fiore di campo cresce odoroso di fresca rugiada, fiore di campo muore sciogliendo sulla terra gli umori segreti",
Ultimo colpo di mano del Dorian Gray italiano
28 di aprile: elezioni per il Presidente del Senato: presidente di turno l'anziano ex Presidente della Repubblica Italiana. Persona di 87 anni ed ex Presidente degli Italiani, quale miglior garanzia di equilibrio? E invece succede che il Presidente pro-tempore comincia con una prassi poco diffusa per il suo ruolo: scende anche lui dallo scranno e annuncia che anche lui sarà a votare.
Ma la giornata è ancora lunga... Scalfaro dopo la seconda votazione in cui 3 schede inizialmente attribuite a Marini vengono dichiarate nulle, dovrebbe decidere con l'intero Senato le modalità ed i tempi della votazione successiva. Ma Scalfaro con un colpo di mano decide che si rivoterà per le 20.
In quel momento qualcuno gli dice che una decina di senatori stanno andando via da Roma e quindi Scalfaro ancora una volta falsa il gioco spostando di ulteriori 2 ore.
Una persona con un minimo di coscienza avrebbe almeno evitato di fare commenti ma il Dorian Gray sale sul palco e grida: - E' più di sessant'anni che sono parlamentare, non ho mai visto in sessant'anni una tale mancanza di rispetto reciproco.
E termina con il lamento: - Sto seriamente male da più ore, in un'Aula che chiede le regole ma non ne rispetta nessuna. Non so se la mia salute mi consentirà di andare avanti. Mi rendo conto della situazione ma anche della situazione che si creerebbe con il passaggio da una presidenza ad un'altra.
Italiani non ve ne andate dall'Iraq
NON VE NE ANDATE - A lanciare l'urlo è il sindaco di Nassiriya (dove l’Italia, fra l’altro, ha ricostruito la sede del tribunale, il padiglione di un ospedale, un museo archeologico, e perfino donato alla cittadinanza un intero parco, costruito al costo di 1 milione di euro con i soldi della regione Emilia Romagna). Il giornalista del Corriere Renzo Cianfanelli una volta ha chiesto senza perifrasi: “quando volete che ce ne andiamo?”. E la risposta senza un minimo di esitazione è stata: “non ora per carità. Se ve ne andate subito, anche questa regione del Dhi Qar, che finora è rimasta abbastanza tranquilla, diventerà come Bagdad. Qui ci sono i fanatici che non aspettano altro, ci sono i banditi, ci sono gli agenti dell’Iran. Se insomma di Nassiriya ve ne lavate le mani e ve ne andate dall’oggi al domani, qui sarà il caos”. Un’opinione interessata, forse, quella del sindaco che ha di sicuro qualcosa da guadagnare, consolidando il proprio potere di sceicco locale sotto l’ombrello di una presenza militare straniera. Ma l’alternativa del caos è un rimedio migliore? O forse dovremmo andarcene e lasciare fiduciosamente il tutto nelle mani dell’Onu, che però, dopo il primo violento attacco di terrorismo a Bagdad, se n’è andato dall’Iraq e non ha mai saputo organizzare (la Bosnia insegna) una missione decente di pace? La cortina fumogena di propaganda e menzogne non cambia le cose. Poche ore dopo l’attacco, le brigate Iman Hussein, legate al terrorista al Zarkawi, si sono attribuite la responsabilità di questo assassinio. Un’altra rivendicazione è venuta su un sito web da un autoproclamato Esercito islamico dell’Iraq.
Il Napoli lentamente sta tornando
Alle 16.57 del 15 aprile 2006 il San Paolo è tornato finalmente ad urlare al cielo la sua gioia. Il Napoli torna in serie B, torna nel calcio che conta due anni dopo il fallimento e dopo la cocente delusione della passata stagione, finita con la sconfitta nella finale play off con l'Avellino. Fa festa il San Paolo, una festa contenuta perché da queste parti e con questo pubblico (in oltre 50 mila sugli spalti contro il Perugia) si guarda già al futuro, alla squadra che dovrà conquistare in fretta quella serie A che è l'habitat naturale per una simile passione. C'è festa sugli spalti e festa in campo, si abbracciano i giocatori, protagonisti di un campionato a dir poco perfetto. A tre giornate dalla fine il Napoli è a +12 sul Frosinone, unica squadra ad aver tenuto il passo fino a quando la formazione partenopea ha allungato e fatto il vuoto alle sue spalle. Le note di 'Oj vita, oj vita mia' fanno da cornice al giro di campo dei giocatori. La gente esulta. Napoli è tornata. La promozione in B come regalo per ottanta anni di storia. Ufficialmente la società sportiva calcio Napoli, nata il primo agosto 1926, cessò di esistere con il fallimento di due anni fa, ma in ogni caso la festa di oggi é il miglior dono per l'imminente compleanno virtuale del club azzurro, risorto nel 2004 con il nome di Napoli soccer grazie ad Aurelio De Laurentiis. Una storia lunga, che vede nel palmares azzurro due scudetti (1986/1987-1989/1990), una Coppa Uefa ('88-'89), tre Coppe Italia e una Supercoppa. Poi il declino sino ad arrivare alla rinascita avvenuta con De Laurentiis e Marino.
Il convertito afgano è già in Italia
Si trova già in Italia, in una località segreta e sotto le cure del personale del ministero dell'Interno, Abdul Rahman, il cittadino afgano convertito al cristianesimo che rischiava la morte ne suo Paese con l'accusa di apostasia dalla fede islamica.
Rahman, secondo quanto ha riferito il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, si trova già dalla scorsa notte nel nostro Paese, al quale ha chiesto ufficialmente asilo politico. Il Consiglio dei Ministri ha deciso oggi all'unanimità di sostenere la proposta del vicepresidente Gianfranco Fini, che si era fatto promotore dell’accoglienza del 41enne convertito. «Siamo lieti di accogliere una persona che ha avuto un grande coraggio», ha dichiarato il presidente Berlusconi. Soddisfazione per la decisione del governo è stata espressa anche dal presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, secondo il quale «il Consiglio dei Ministri ha fatto un gesto importante per i cristiani perseguitati nel mondo». In Europa, intanto, anche la Germania si era dichiarata pronta ad accogliere il 41enne converto al cristianesimo.
Il Parlamento di Kabul ha invece deplorato la scarcerazione di Rahman. In una mozione approvata all'unanimità dopo due ore di dibattito, l'assemblea ha denunciato la decisione della magistratura di rimettere l'uomo in libertà e ha esortato la promulgazione di un esplicito divieto di lasciare l'Afghanistan a carico di Rahman che, si legge nel testo, non deve poter «scappare» impunemente. Il divieto, però, non è stato rispettato, e il convertito afgano potrà esercitare, per il momento, la sua libertà di culto in Itali
Elezioni in Israele, vince Olmert
Gerusalemme, 29 marzo (Adnkronos/Ign) - Il nuovo partito centrista Kadima, guidato dal premier ad interim Olmert ha vinto le elezioni israeliane, anche se non ha ottenuto un numero di seggi sufficiente per governare solo. A spoglio ormai concluso il partito fondato dall'ex premier Ariel Sharon ha preso 28 dei 120 seggi della Knesset, seguito dai laburisti che ne hanno conquistati 20. Terzo partito sono gli ultraortodossi sefarditi dello Shas con 13 seggi, mentre al quarto posto si piazza il partito di estrema destra degli immigrati russi Yisrael Beitenu con 12. Il Likud precipita a soli 11 seggi mentre la destra dell'Unione nazionale-Partito nazional religioso si attesta a quota nove.
A sorpresa emerge per la prima volta il partito dei pensionati, finora escluso dal Parlamento, con sette seggi. Il partito degli ultraortodossi askenaziti Torah unita nel giudaismo ottiene sei deputati e la formazione di sinistra Meretz ne conquista quattro. Ai parti arabi va un totale di dieci seggi. Scompare dalla scena politica lo Shinui, il partito laico che aveva ottenuto 15 seggi nel 2003 e che oggi non entra alla Knesset. Nel giorno del voto astensione record: è stata registrata la più bassa affluenza alle urne della storia israeliana, solo il 63,2%.
E il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) Mahmoud Abbas ritiene che i risultati delle elezioni israeliani avranno poche ripercussioni, salvo che Olmert, non decida di cambiare linea politica. ''Questi risultati delle elezioni israeliane non cambieranno nulla, a meno che Olmert non cambi di sua iniziativa la sua agenda politica ed abbandoni l'idea degli 'accordi unilateriali''', ha detto Abbas a margine del summit della Lega Araba in corso a Khartoum, capitale del Sudan.
Stamani, dopo aver rivendicato la vittoria di Kadima alle urne, Olmert ha rinnovato il suo invito ad Abbas ad avviare negoziati sulla definizione dei futuri confini di Israele, ribadendo di essere pronto ad agire in maniera unilaterale se non sarà possibile una soluzione concordata.
Il premier ad interim dovrà, infatti, condurre negoziati con diversi partiti al fine di formare un governo che realizzi il suo piano per fissare confini definitivi entro il 2010.
Un incoraggiamento verso una soluzione pacifica e negoziata del conflitto israelo-palestinese arriva anche dall'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Ue Javier Solana. ''Ho appena parlato al telefono con il primo ministro Ehud Olmert e mi sono congratulato con lui per il risultato delle elezioni di ieri in Israele'' sottolinea il 'ministro degli Esteri' Ue in una nota. Nel corso della conversazione, prosegue Solana, ''ho incoraggiato Olmert a continuare tutti gli sforzi necessari per procedere verso una soluzione pacifica e negoziata del conflitto in Medio Oriente e l'ho rassicurato sul fatto che l'Unione Europea è pronta, come sempre, a fornire tutto il suo sostegno a questo processo''.
23 marzo 1944, via Rasella
23 marzo 1944, ore 15 e 50 circa, città aperta di Roma,un reparto di 156 riservisti della 11a Compagnia del Reggimento "Bozen", comandato dal maggiore Helmut Dobbrick passa cantando “Hupf meine Model, Salta ragazza mia” .
Ora passano per il centro storico: via Rasella un'unica via in salita da via del Traforo a via delle Quattro Fontane chiusa da palazzi a destra e sinistra, l'unico sfogo al centro l'incrocio con via del Boccaccio. Il posto ideale per un attentato.
ore 15 e 52 uno scoppio fortissimo (18 kg di esplosivo frammisto di ferro) squarcia l'aria. E'l'inferno, il rumore defragrante rimbalza sulle pareti dei palazzi e sbatte su tutto ciò che si trova su via Rasella. I soldati sono impazziscono, il rumore, il sangue e la polvere li disorientano. Tanto più che ora scoppiano delle bombe carta dal lato di via dei Giardini. I ragazzi sono completamente impazziti, iniziano a sparare all'impazzata sui palazzi credendo che l'attacco arrivi dall'alto. Alla fine rimangono uccisi trentadue militari tedeschi e di due civili italiani. Fra i morti, una salma a lungo nascosta, quella di un bambino di 13 anni, tagliato in due dalla deflagrazione.
Coloro che presero parte all'azione furono: Rosario Bentivegna che, travestito da spazzino, trasportò la bomba con la carretta; Franco Calamandrei, che si tolse il berretto per indicare a Bentivegna che il reparto aveva imboccato via Rasella e che la miccia per l'esplosione doveva essere accesa; Carla Capponi, che aspettava Bentivegna all'angolo di via delle Quattro Fontane; e poi Carlo Salinari, Pasquale Balsamo, Guglielmo Blasi, Francesco Cureli, Raoul Falciani, Silvio Serra e Fernando Vitagliano.
Questi giovani (tra i 20 e i 27 anni) facevano parte di uno dei tanti gruppi denominati di Azione Patriottica (Gap) e dipendevano dalla Giunta militare, emanazione del Comitato di Liberazione Nazionale (Cln), di cui erano responsabili Giorgio Amendola (comunista), Riccardo Bauer (azionista) e Sandro Pertini (socialista). L'ordine di eseguire l'imboscata di via Rasella, preparata nei minimi particolari da Carlo Salinari, fu dato dai responsabili della Giunta militare. Successivamente Bauer e Pertini dichiararono di non essere stati preventivamente informati e che l'ordine venne dato da Amendola a loro insaputa. Amendola stesso, qualche tempo dopo, confermò la versione, rivendicando a se stesso la responsabilità di aver dato ai "gappisti" l’ordine operativo per l'attentato.
Nasce un nuovo partito : la CEI
ROMA - Grande attenzione alla vita umana e alla famiglia, solite critiche sui Pacs, correzione del tiro (sconfessato il cardinal Martino) sull'insegnamento della religione islamica nella scuola italiana ("pericoloso indottrinamento"). Il cardinale Camillo Ruini parla ai vescovi italiani riuniti nel Consiglio permanente e, come prevedibile, interviene sui temi della campagna elettorale nella quale "la Chiesa non si schiera, ma indica contenuti". Ruini sembra negativamente impressionato dai toni della campagna per le politiche: "toni accesi e molteplici terreni di polemica" e ribadisce che la Chiesa non fa alcuna "scelta di schieramento politico o di partito" ma ripropone agli elettori e ai futuri parlamentari "contenuti irrinunciabili".
No ai pacs. "Rispetto della vita umana dal concepimento al suo termine naturale" e "sostegno concreto alla famiglia legittima fondata sul matrimonio" evitando "di introdurre normative che ne comprometterebbero gravemente il valore e la funzione". A questi temi il cardinale Ruini chiede di prestare "speciale attenzione" e di usarli come "criterio di orientamento in rapporto ai programmi delle diverse forze politiche".
L'economia. Il leader dei vescovi entra anche nel merito di questioni economiche: "Le condizioni della nostra economia permangono purtroppo difficili, come mostrano la mancanza di crescita nel corso del 2005 e l'incremento del debito pubblico, anche se una certa ripresa è prevista per il 2006". Per questo il cardinale chiama a un "impegno forte e condiviso, senza il quale sarebbe arduo attenuare gli squilibri che affliggono da gran tempo il nostro Paese, penalizzando soprattutto il Meridione, in particolare sul versante cruciale dell'occupazione".
No alle intolleranze. Il cardinale Ruini ha ricordato l'assassinio di don Andrea Santoro, ucciso nella chiesa di Trabzon in Turchia, e ha ribadito che "l'intolleranza e la violenza non possono mai giustificarsi come risposta alle offese, poiché esse non sono risposte compatibili con i principi sacri della religione". Il prelato ha fatto sue le parole con le quali Benedetto XVI ha condannato le vignette su Maometto e le reazioni dei paesi islamici, "deplorando" le azioni di chi "approfiotta deliberatamente" dell'offesa ai sentimenti religiosi "per fomentare atti violenti, tanto più che ciò avviene a fini estranei alla religione".
Il Medioriente. Per Ruini, l'Autorità Palestinese deve riprendere "il percorso che deve condurre alla rinuncia alla lotta armata, al riconoscimento reciproco e alla coesistenza pacifica tra Stato d'Israele e popolo palestinese, dotato di proprie istituzioni democratiche e sovrane". Allo stesso tempo Israele deve rispettare il diritto internazionale perché "gli atti di forza, a cui si è fatto ricorso anche la scorsa settimana, non potranno certo facilitare questo cammino". Ruini ha espresso preoccupazione anche per le notizie dall'Iraq, dove "ancora molto si fatica per trovare una forma di equilibrio, coesistenza e collaborazione tra le diverse componenti della popolazione".
( da Repubblica)
Ricordo di Marco Biagi
Il 19 marzo del 2002 un viaggiatore come tanti scende dal treno.
E' la stazione di Bologna. Il suo treno arriva da Modena.Sono passate da poco le 20 . Il viaggiatore, un professore universitario prende la sua bicicletta posteggiata nei pressi della stazione e ricomincia il percorso che lo porterà a casa. Ma non sa che in quel momento una persona avverte i suoi complici dei suoi movimenti. Il professore è pedinato, è pedinato da più di un anno e lui ha richiesto un aiuto al Presidente della Camera, ai prefetti e al Ministero del Lavoro. Il professore si avvia verso casa. Il professore è davanti al portone. Sono le 20 e 10 Appoggia la bicicletta al muro e si avvicina al portone. Ma davanti al portone, lo attendono almeno tre persone: una è a viso scoperto, due indossano caschi integrali. Cinque colpi, il professore cade, il killer si avvicina al professore e spara il colpo di grazia.
Ma chi è questo professore fino ad allora sconosciuto alla pubblica opinione? E' il professore Biagi, giuslavorista, giornalista del Sole24Ore,consulente di diversi ministri del Lavoro ( e al momento consulenti del ministro Maroni e del sottosegretario Sacconi) , padre del Libro Bianco sul Lavoro del Governo Berlusconi ma anche tra gli autori del Patto sul Lavoro dei governi del centrosinistra (insieme a D'Antona).
E' l'ennesima vittima delle BR legata al mondo del lavoro. Nella loro storia le BR hanno colpito sindacalisti, dirigenti, industriali. E tre anni prima hanno ucciso Massimo D'Antona.
E le BR lo rivendicano:
"Il giorno 19 marzo 2002 a Bologna, un nucleo armato della nostra Organizzazione, ha giustiziato Marco Biagi consulente del ministro del lavoro Maroni, ideatore e promotore delle linee e delle formulazioni legislative di un progetto di rimodellazione della regolazione dello sfruttamento del lavoro salariato, e di ridefinizione tanto delle relazioni neocorporative tra Esecutivo, Confindustria e Sindacato confederale, quanto della funzione della negoziazione neocorporativa in rapporto al nuovo modello di democrazia rappresentativa.
Con questa azione combattente le Brigate Rosse attaccano la progettualità politica della frazione dominante della borghesia imperialista nostrana per la quale l'accentramento dei poteri nell'Esecutivo, il neocorporativismo, l'alternanza tra coalizioni di governo incentrate sugli interessi della borghesia imperialista e il "federalismo" costituiscono le condizioni per governare la crisi e il conflitto di classe in questa fase storica segnata dalla stagnazione economica e dalla guerra imperialista". E dopo l'analisi, le BR rivendicano il loro ruolo attivo:
"Compito di una forza rivoluzionaria come le Brigate Rosse è attaccare questa progettualità e così incidere nello scontro politico tra le classi, in funzione di una linea di combattimento che in questa fase della guerra di classe deve riferirsi a obiettivi rivolti a produrre disarticolazione politica dello Stato e in cui si sostanzia l'agire da partito per costruire il Partito".
E la colpa del professore è quella di avere collaborato a un progetto di riforma "L'azione dell'Esecutivo con il Libro Bianco, le deleghe e lo Statuto dei lavori è tesa a realizzare un progetto di riforma a carattere complessivo che collegata a quella sulla previdenza, e alla prevista attribuzione del tfr dei nuovi assunti alla previdenza integrativa, realizza quello 'scambio' tra tfr e competitività da tempo richiesto dai padroni".
La morte di un simbolo
Se ne è andato un simbolo, se si può parlare di morte di un simbolo. Un simbolo non piò morire, un simbolo resiste a mille tempeste, un simbolo lo ritrovi dopo un cataclisma. Un simbolo cessa di essere tale solo se perde la sua natura. Luca Coscioni è rimasto un simbolo, fino alla fine. Fino alla fine ha lottato per le sue idee. Fino all'ultimo ha lottato per la liberalizzazione della ricerca sulle staminali. Coscioni sarebbe morto già da tempo, appena scopre il suo male nel suo diario scrive : "Mi sono ammalato ed è come se fossi morto. Il deserto è entrato dentro di me, il mio cuore si è fatto sabbia e credevo che il mio viaggio fosse finito". Ma lui è il simbolo della rinascita, è il simbolo di chi non si arrende: nel 'Maratoneta' scrive - e'la mia battaglia quella per le liberta', in particolare quella di ricerca scientifica. E' una battaglia che non ho scelto, che mi ha scelto'. E ancora: ''Nella mia avventura radicale, la cosa piu' importante, che penso di essere riuscito a realizzare, e' quella di aver fatto di una malattia una occasione di rinascita e di lotta politica, di avere avuto la forza e il coraggio di trasformare il mio privato in pubblico'. E Coscioni avrebbe continuato la sua battaglia, sarebbe stato capofila nella "Rosa nel pugno" e avrebbe portato la sua battaglia in Parlamento. Ma oggi Luca Coscioni si è spento. Ma i simboli non muoiono, i simboli continuano a vivere nel ricordo. E Coscioni ha lasciato un'associazione che continuerà a vivere e a portare avanti le sue idee. Nel suo nome.